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“Tutte le opere del divino Pergolesi portano l’impronta del genio” Abbé di Saint-Non

“Tutte le opere del divino Pergolesi portano l’impronta del genio” Abbé di Saint-Non

Tra i personaggi che con la loro presenza hanno arricchito la storia di Pozzuoli un posto particolare spetta senz’altro al musicista Giovanni Battista Pergolesi che nella nostra città compose la sua più importante opera e visse gli ultimi mesi di una vita breve e interamente dedicata alla musica. Ricostruire una biografia di Pergolesi è compito arduo a causa dell’insufficienza di dati a disposizione; di certo nacque a Jesi il 4 gennaio 1710 da una famiglia, il cui cognome era Draghi, originaria della cittadina di Pergola, motivo per cui, quando la famiglia si trasferì a Jesi, si guadagnò il soprannome di Pergolesi che col tempo sostituì il cognome originario. La famiglia Pergolesi, oltre che di modeste condizioni economiche, pare fosse afflitta anche da malattie ereditarie, tanto che il giovane musicista perse in poco tempo tutti i familiari e lui stesso era di salute cagionevole. Pergolesi fanciullo manifestò una straordinaria predisposizione per la musica e perciò fu affidato a due maestri che lo avviarono allo studio del violino. A tredici anni, grazie al mecenatismo del marchese Cardolo Maria Pianetti, estimatore del giovanissimo musicista, venne mandato a Napoli per perfezionare gli studi musicali. Fu ammesso al Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo, uno dei quattro conservatori della città, ed ebbe tra gl’insegnanti Francesco Durante, uno dei maggiori compositori napoletani. I conservatori dell’epoca operavano come dei collegi che accoglievano la gioventù diseredata per avviarla all’apprendimento di un’arte, tra cui la musica, o di un mestiere che permettesse loro di trovare un lavoro una volta diventati adulti. Gli allievi erano spesso chiamati a cantare o suonare nel corso di cerimonie religiose, laiche o in abitazioni di nobili. Erano organizzati in piccoli gruppi, le cosiddette paranze, che eseguivano brani di musica strumentale, in genere con archi o fiati, sotto la direzione di un capoparanza, allievo di un corso di studi più avanzato che fungeva da maestro, un ruolo rivestito anche da Pergolesi.

Nel 1725 venne mandato a cantare come soprano per una cerimonia nella chiesa di Santa Patrizia, notizia che lascia intuire come il Pergolesi fosse anche un castrato. Nel giugno 1729 si reca a Pozzuoli, insieme ad altri compagni di conservatorio, per delle cure ai bagni termali di Pisciarelli. L’episodio potrebbe essere rivelatore del fatto che fosse già afflitto da qualche malattia, oppure è da mettere in relazione con la sua condizione di castrato.

Nel 1731 esordì con l’oratorio La fenice sul rogo e con l’opera Salustia e da questo momento riscuote l’attenzione sia del pubblico che del mondo musicale napoletano. La popolarità raggiunta è testimoniata anche da due avvenimenti: il primo vide Pergolesi assunto al servizio del principe Ferdinando Colonna di Stigliano uno degli esponenti più in vista dell’alta nobiltà vicereale; il secondo quando viene incaricato dalla municipalità di Napoli della composizione di una messa in onore di S. Emidio che era stato invocato a protezione della città dopo una serie di forti terremoti.

La brillante carriera continua con la nomina ad organista soprannumerario della Cappella Reale nel 1732 ed a maestro di cappella nel 1734. La definitiva conferma della celebrità di Pergolesi si ha con l’opera Il prigionier superbo che riscosse un successo straordinario anche grazie a La serva padrona, un intermezzo buffo concepito come intrattenimento per il pubblico tra un atto e l’altro dell’opera. L’intermezzo fu un trionfo e proprio grazie a questa composizione Pergolesi viene conosciuto anche fuori Napoli affermandosi come il maggiore compositore nel genere dell’opera buffa. In pochi anni di attività è già considerato un innovatore dello stile musicale e tra i principali autori nelle composizioni di teatro serio, teatro comico e musica religiosa. Nel 1734 con l’avvento dei Borbone molti nobili legati al potere vicereale e maldisposti verso la nuova condizione politica, si trasferirono a Roma e tra questi anche il principe di Stigliano e il duca di Maddaloni Marzio Carafa e fu proprio quest’ultimo, ad invitare Pergolesi a Roma dove, alla prima esperienza fuori i confini napoletani, diresse alcune delle sue opere ottenendo come sempre una rilevante affermazione. L’esperienza romana gli attirò i sospetti del nuovo governo borbonico che insieme ai suoi nobili protettori lo consideravano alla stregua di un cospiratore. Proprio quando il successo e la gloria sembrano inarrestabili la carriera di Pergolesi viene interrotta delle condizioni di salute che si aggravano velocemente, in quanto ad una poliomielite, contratta nei primissimi anni di vita, era subentrata anche una tubercolosi. Al ritorno a Napoli nel 1735 mette in scena con esito positivo l’opera Il Flaminio ma la salute, ormai compromessa, non gli consente di portare a termine una serenata commissionatagli per le nozze del principe Raimondo di S. Severo. In quello stesso anno la Congrega dei Cavalieri della Vergine dell’Addolorata lo incaricò di musicare uno Stabat Mater per sostituire quello di Alessandro Scarlatti che da molti anni veniva eseguito nel corso delle funzioni pasquali.

Così come per la nascita anche sugli ultimi mesi di vita di Pergolesi non si hanno notizie certe. Molto probabilmente sia i medici che il duca di Maddaloni gli consigliarono di trasferirsi a Pozzuoli, località che godeva della reputazione di avere un clima salubre e dove venne ospitato nel Convento dei Cappuccini adiacente all’attuale chiesa di S. Antonio, che era di patronato della famiglia Carafa. Dalle scarne notizie e secondo una tradizione diffusa, nel corso di questa breve permanenza avrebbe composto alcune cantate da camera, l’antifona Salve Regina e lo Stabat Mater. Pergolesi nonostante le condizioni di salute che peggioravano in maniera repentina riuscì a portare a termine la composizione dello Stabat proprio poco prima di spirare il 16 marzo 1736, a soli ventisei anni. Il giorno dopo, come si legge nell’atto conservato nell’Archivio Diocesano, venne sepolto nel Duomo, nella fossa comune dei forestieri, dal momento che, sembra, non avesse il denaro necessario per una degna sepoltura.

La musica pergolesiana dello Stabat Mater, sui versi di Jacopone da Todi è una struggente melodia a due voci, soprano e contralto, e costituisce una intensa meditazione sul dolore e sulla morte ed è considerata uno dei maggiori capolavori in tutta la storia della musica. La fama di Giovanni Battista Pergolesi era consolidata già in vita ma la sua dolorosa fine in giovane età colpì l’immaginario collettivo e contribuì ad accrescerla fino a sfociare quasi in una leggenda che si arricchiva di particolari sulla sua vita e sulla sua musica che non avevano alcun fondamento. Il mito influenzò anche la ritrattistica sul musicista, che veniva raffigurato sempre come un giovane di belle sembianze, mentre l’immagine più vicina alla realtà sembra essere la caricatura disegnata a Roma da Pier Leone Ghezzi.

Con Pergolesi si verifica per la prima volta un fenomeno che poi riguarderà ampiamente la pittura e cioè la copia. Molte opere di diversi autori e altre composte ex novo vennero attribuite al maestro. La produzione pergolesiana risulta così ampia che forse non avrebbe potuto nella sua breve vita comporre così tante opere e, faticosissimo è stato il lavoro di ricerca di critici e storici musicali per riuscire a ricostruire un attendibile corpus delle sue composizioni. Fondamentale, in quest’ambito, il ruolo che sta svolgendo la Fondazione Pergolesi-Spontini di Jesi che sin dall’istituzione nel 2000 conduce un laborioso e paziente studio critico, grazie al quale oggi sono state recuperate quasi tutte le composizioni attribuibili con certezza a Pergolesi.   

Teatro Pergolesi, interno, Jesi

16 marzo – Anniversario della morte di Giovanni Battista Pergolesi

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